Monday, April 9, 2012

Da grande farò l'astronauta

Oggi riflettevo sul decommissioning dello Shuttle.

Negli anni sessanta si costruivano mezzi in grado di portare l'uomo sulla Luna, a 300.000 Km di distanza dalla Madre Terra. Negli anni ottanta lo Shuttle si limitava ad andare poco oltre l'atmosfera. Oggi... oggi siamo seduti qui, sul nostro pianeta e al massimo mandiamo sonde robotiche.

Sembra di leggere un libro di storia al contrario.

Lo so, tutto questo ha anche un senso: l'evoluzione della robotica e della sensoristica, nonché dell'intelligenza artificiale ha reso meno determinante la presenza umana e questo lo vediamo anche sui campi di battaglia dove, in cielo, si usano sempre più droni e sempre meno velivoli con pilota. Ma non posso non pensare al fatto che la corsa alla Luna, il sogno di viaggiare nello spazio fossero anche dei formidabili sproni allo sviluppo scientifico e tecnologico di una umanità che aveva voglia di raggiungere traguardi oltre l'immaginazione.

Guardatevi intorno e se avete le competenze scientifico/tecniche necessarie provate a togliere dagli oggetti che vedete i materiali e le tecnologie che sono state sviluppate per la corsa alla Luna. Poi togliete quelle che sono frutto della corsa agli armamenti. Anche quelle di armi che non sono mai state usate, tipiche del periodo della guerra fredda.

Cosa resta?

Resta un mondo in cui nessuno di noi vorrebbe vivere, peraltro privo anche del mezzo su cui mi leggete.

L'obiezione classica a questo punto è che non sia necessario andare sulla Luna per sviluppare, ad esempio, un nuovo materiale. Invece no. Solo esigenze estreme e prive di alternative portano a sviluppi eccezionali. Laddove è possibile un compromesso, ci si fermerà a quello. Per fare una pentola antiaderente non sarebbe mai stato necessario né possibile economicamente sviluppare un materiale come il teflon. Ma per andare sulla Luna si, e questo ci ha permesso di goderne i vantaggi anche in settori che mai avrebbero giustificato il suo sviluppo e che si sarebbero accontentati di un compromesso.

Se chiedi qualcosa di possibile ottieni una risposta normale. Solo se chiedi l'impossibile ottieni qualcosa di straordinario, qualcosa che va oltre il conosciuto. Qualcosa che fa fare un balzo all'intera umanità.

Guardo il mondo di oggi, le sue miserie, il suo guardarsi l'ombelico e quello che vedo è una umanità che ha smesso di sognare in grande. Ha smesso di credere che ciò che oggi consideriamo impossibile in realtà potrebbe avverarsi. E se anche non si avverasse, nel tentativo si raggiungerebbero comunque traguardi innovativi, eccezionali, impensabili.

Si dice che non ci siano i soldi. Balle. Non si navigava nell'oro nemmeno nel passato ma si era più pragmatici, più determinati. Si aveva voglia di sacrificare qualcosa per raggiungere un sogno, per avviarsi lungo una strada nuova. Certo, spesso questi "sognatori" venivano derisi, sfidati a provare le loro convinzioni. Ma l'umanità ha sempre progredito grazie a queste persone, che hanno saputo indicare un obiettivo oltre l'orizzonte visibile e a coloro che si sono impegnati per raggiungerlo, anche quando non lo credevano possibile.

Quando Verne scrisse "Il giro del mondo in 80 giorni" era un sogno. Oggi lo facciamo in un tempo misurato in ore.
Quando Kennedy disse che gli USA avrebbero portato un uomo sulla Luna entro la fine del decennio pochi lo credettero possibile, per primi i sovietici. Certo, la NASA sapeva che c'era una buona probabilità di riuscire ma i piani erano pieni di punti di domanda legati alla tecnologia ed ai materiali. Quella tecnologia e quei materiali però vennero sviluppati e i punti di domanda in gran parte cancellati, inseguendo il traguardo che quel sogno aveva posto.
Quando Reagan annunciò al mondo l'intenzione di realizzare l'SDI, questo era un progetto basato in gran parte su tecnologie non ancora esistenti. Ma fece crollare l'Unione Sovietica trascinandola in una sfida tecnologica che non avrebbe potuto evitare né perdere (a differenza della corsa alla Luna, pena la sicurezza nazionale) ma che non poteva permettersi perché il suo modello socio/economico non era in grado di raccoglierla.

Negli anni '50 e '60 i bambini sognavano di fare gli astronauti, oggi di partecipare ad un talent show. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

12 comments:

  1. Mio marito mi ha raccontato che Dallara Racing (o Dallara Corse, non mi ricordo) ha chiesto a dei neolaureati di sviluppare un simulatore che permettesse con dei complicatissimi algoritmi ecc di testare parti di auto prima ancora di costruirle. (Lo sto dicendo con parole mie, quindi perdona se non sono molto precisa).
    Perché dei neolaureati? Perché chiunque altro aveva detto che era impossibile. Allora il sig. Dallara ha chiamato questi giovanotti e gli ha chiesto di farlo omettendo di dire che era impossibile. E loro lo hanno fatto.

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  2. @Cosmopolitan
    Non mi stupisce. Se il sig. Dallara di cui parli è quello che conosco anch'io (non di persona), appartiene alla generazione dei ragazzi che sognavano di fare l'astronauta :-)

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  3. Non penso proprio che prenderò mai parte ad alcunché di grande in vita mia, ma almeno ho finalmente capito che se c'è la crisi, e la recessione, e l'apocalisse, le cose possono solo andarmi peggio se mi metto *anche* a pensare negativo o ad aspettare che passi.

    Qualcuno lo sta capendo, anche se per ora è un mediocre =)

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  4. @lamb-O
    Ma soprattutto occorre tornare a chiamare le cose con nomi come "Saturno" o "Gemini" o "Mercury" non "opportunity". Spero sia chiaro cosa intendo...

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  5. Ogni giorno aumentano gli imbecilli eco-bio-equo-solidal-vegan-staminchia. Una volta ci si entusiasmava per le missioni spaziali, oggi abbiamo frotte di idioti che protestano contro la costruzione di ponti e ferrovie.

    C'è qualcosa che non va....

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  6. Con molto tempo a disposizione:
    http://www.projectrho.com/rocket/

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  7. Questo è per te allora....

    http://attivissimo.blogspot.it/2012/04/abbiamo-smesso-di-sognare-neil-degrasse.html

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  8. Se il sig. Dallara di cui parli è quello che conosco anch'io
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    è questo vero?

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  9. Quanta amarezza nelle tue parole... ma quanta verità. Bello.

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