Saturday, May 8, 2010

Ultime notizieee...

Ovvero la crisi dei quotidiani.

Questo post lo avevo promesso a Yossarian e spero di essere all'altezza delle sue, e vostre, aspettative. In realtà quelle che esprimerò sono solo delle osservazioni da lettore qualunque non avendo mai lavorato per un giornale.

È evidente che il business model dei quotidiani tradizionali sia in crisi. La quasi totalità degli stessi accumula perdite che solo grazie ai denari dei cosiddetti poteri forti possono essere attualmente tamponate. Ma si tratta, appunto, di toppe messe alla bell'e meglio giusto per tenere in piedi la baracca, spesso con scopi che nulla hanno a che vedere con la difesa dell'informazione o della testata.

Nell'era pre-internet il quotidiano tradizionale cartaceo si reggeva sulla vendita del prodotto e sulla pubblicità. Queste voci garantivano introiti sufficienti a coprire i costi della struttura che andava dalla raccolta della notizia, alla stesura del pezzo, alla sua impaginazione, alla stampa ed infine alla distribuzione e vendita. Il punto era che se volevo notizie dovevo comprare un giornale. In questo modo concorrevo, insieme alla pubblicità e alle inserzioni a pagamento, a remunerare tutta la struttura. E, soprattutto, a renderla potenzialmente indipendente da condizionamenti economici.

L'avvento di internet costrinse i giornali ad avere una versione on-line ed inizialmente questo sembrava dare solo vantaggi. La visibilità della testata aumentava e gli acquisti erano favoriti dall'effetto trailer del sito internet che non toglieva ma, anzi, aggiungeva lettori paganti.

Del resto la versione on-line era ben lungi dall'essere sostitutiva di quella cartacea.
Dal punto di vista della fruibilità il limite era tecnologico: la banda passante limitata, la scarsa potenza dei browser e la dimensione dei monitor rendevano lo sfogliare un quotidiano on-line una esperienza scomoda e dalle attese snervanti.

Ma, soprattutto, era una esperienza costosa: l'accesso ad internet non era flat come quello di oggi ma si pagava a tempo. Leggere mentre una sorta di tassametro scandisce i soldi che vi costa non è piacevole. Il dover pagare di nuovo per rileggere una stessa notizia lo è ancor meno.

Da non sottovalutare poi il fatto che, a differenza di oggi, la versione on-line non aveva nulla in più da dare rispetto a quella cartacea. Si trattava sempre di testi e qualche foto, spesso più piccole e a minore definizione. La possibilità di integrare l'articolo con filmati, slideshow o contributi interattivi era ben lontana dall'essere anche solo immaginata.

Con l'evoluzione della tecnologia e la riduzione dei costi (sia di accesso che dell'hardware) internet esplose in tutte le sue potenzialità entrando nella vita di tutti noi. I giornali non ebbero la forza o, più probabilmente, le competenze necessarie a governare il cambiamento e si trovarono a subire le trasformazioni della società. E ad adeguarsi ad esse.

Per non apparire arretrati furono costretti a mettere on line una versione sempre più completa, ricca ed aggiornata, arrivando al punto di rendere disponibile il quotidiano in PDF da stampare. Questo rese la copia cartacea meno appetibile e più scomoda perché era necessario spostarsi per andare a comprarla.

Contemporaneamente gli annunci a pagamento si spostarono dai giornali generalisti a piattaforme specifiche e la pubblicità, che prendeva in considerazione le copie vendute, diminuiva in parallelo al calo delle tirature. Questo faceva venire a mancare due entrate fondamentali solo parzialmente (molto parzialmente) compensate dalla pubblicità web che era ancora agli albori e non pagava come quella tradizionale.

Tutto questo ha portato alla situazione in cui oggi navigano i giornali: il loro business model non è più economicamente sostenibile perché i margini del poco che si può vendere non coprono le spese. Le notizie devono essere diffuse praticamente gratis ma la struttura che le procura ed elabora è ancora la stessa. E ha ancora gli stessi costi.

Per uscire dal tunnel alcune testate stanno provando a farsi pagare in qualche modo. Dal brutale "per leggere il giornale devi pagarmi un abbonamento", al più soft "ti faccio leggere tot notizie dopodiché, per vederne altre, devi pagarmi un abbonamento", fino ai micropagamenti a scalare news per news o cose bizzarre tipo farti leggere le prime tot righe di ogni articolo e pagare per andare avanti (cosa che ha anche un curioso effetto sul come vengono scritti gli articoli, ma questa è un'altra storia).

In realtà, a mio avviso, questo è un tentativo di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Chiunque viva nel mondo del commercio sa che quando hai concesso qualcosa gratis tornare a farlo pagare è molto difficile se non impossibile.

A meno che....

A meno che non si fornisca qualcosa di nuovo che il lettore sia disposto a pagare come, ad esempio, l'autorevolezza e l'affidabilità.

Mi spiego con un esempio: mi serve il peso atomico del bismuto. Apro il mio testo di chimica del politecnico, che ho pagato, lo trovo e sono a posto. Non ho bisogno di validare la risposta perché ho pagato per avere una fonte con l'autorevolezza necessaria a non doverlo fare.
Se cercassi in internet troverei decine di siti che riportano il peso atomico del bismuto ma dovrei validare quello che trovo confrontando più fonti. Sarebbe come se lo chiedessi al primo che passa per strada: non mi fiderei della sua risposta. Questo processo di validazione mi costa e potrei essere disposto a pagare per non doverlo fare.

Ecco l'errore a mio avviso commesso dai quotidiani nel passaggio al mondo dell'informazione dell'era internet: credere che il loro prodotto fosse ancora la notizia in se stessa mentre, in realtà, era l'autorevolezza e l'affidabilità della stessa.

In questo hanno perseguito l'obiettivo sbagliato: se succede qualcosa posso esserne informato da decine di fonti compreso il citizen journalism. Ma se voglio sapere cosa è "veramente" successo ho bisogno di validare le fonti, incrociarle, verificare, tutte cose che mi costano tempo e fatica. Questo è lo spazio in cui il quotidiano autorevole può muoversi: sono disposto a pagare non la notizia, che posso avere gratis da altre fonti, ma il fatto di sapere che è vera senza doverlo verificare.

Purtroppo nessun giornale ha capito questo. O meglio, lo stanno capendo forse adesso che tornare indietro è impossibile perché l'autorevolezza è stata oramai sacrificata al Dio dello scoop e l'indipendenza, che garantisce la neutralità di giudizio, è stata venduta al migliore offerente.

Per concludere vorrei fare un paragone con un'altra realtà di cambiamento: l'avvento della grande distribuzione (GDO) sul mercato prima dominato dai piccoli negozi.

Come i piccoli negozianti si sono fatti scappare la possibilità di continuare ad esistere differenziandosi dalla GDO attraverso i prodotti di qualità e/o legati al territorio, così i giornali stanno facendo lo stesso nei confronti di internet.
Non hanno capito che il loro punto di forza, che possono far pagare, è il vaglio delle notizie a monte della pubblicazione.
Se trovo qualcosa in un forum o in un blog sono costretto a verificare se ciò che vi è scritto risponde al vero. Se il giornale è autorevole potrei evitarlo e potrei essere disposto a pagare per questo risparmio di tempo.
Invece i giornali stanno facendo come i negozianti: pretendono di vendere gli stessi prodotti della GDO e, non potendo competere, cercano scorciatoie protezionistiche o sussidi statali per tirare a campare.

Ecco perché, caro Yoss, non mi stupisce che il Guardian (o chi per esso) faccia il salto della quaglia: i giornali oggi stanno in piedi solo grazie agli appoggi. E stare con il più forte vuol dire appoggi più solidi.

Certo però il futuro... beh saranno cazzi del prossimo direttore, a me che mi frega...

P.S. spero di aver usato una prosa accettabile. In caso contrario abbiate comprensione: sono un ex alpino e qui a Bergamo è in atto l'adunata nazionale. Tre giorni di allegria, bevute colossali e ricordi in compagnia di circa 400.000 (avete letto bene quattrocentomila, 4 volte la popolazione di Bergamo città) ex commilitoni.

Dür per Dürà.