Ovvero la crisi dei quotidiani.
Questo post lo avevo promesso a Yossarian e spero di essere all'altezza delle sue,
e vostre, aspettative. In realtà quelle che esprimerò sono solo delle osservazioni da
lettore qualunque non avendo mai lavorato per un giornale.
È evidente che il business model dei quotidiani tradizionali sia in crisi. La quasi
totalità degli stessi accumula perdite che solo grazie ai denari dei cosiddetti poteri
forti possono essere attualmente tamponate. Ma si tratta, appunto, di toppe messe alla
bell'e meglio giusto per tenere in piedi la baracca, spesso con scopi che nulla hanno
a che vedere con la difesa dell'informazione o della testata.
Nell'era pre-internet il quotidiano tradizionale cartaceo si reggeva sulla vendita del
prodotto e sulla pubblicità. Queste voci garantivano introiti sufficienti a coprire
i costi della struttura che andava dalla raccolta della notizia, alla stesura del pezzo,
alla sua impaginazione, alla stampa ed infine alla distribuzione e vendita.
Il punto era che se volevo notizie dovevo comprare un giornale. In questo modo concorrevo,
insieme alla pubblicità e alle inserzioni a pagamento, a remunerare tutta la struttura. E, soprattutto, a renderla potenzialmente indipendente da condizionamenti economici.
L'avvento di internet costrinse i giornali ad avere una versione on-line ed
inizialmente questo sembrava dare solo vantaggi. La visibilità della testata aumentava e
gli acquisti erano favoriti dall'effetto trailer del sito internet che non toglieva ma,
anzi, aggiungeva lettori paganti.
Del resto la versione on-line era ben lungi dall'essere sostitutiva di quella cartacea.
Dal punto di vista della fruibilità il limite era tecnologico: la banda passante limitata,
la scarsa potenza dei browser e la dimensione dei monitor rendevano lo sfogliare
un quotidiano on-line una esperienza scomoda e dalle attese snervanti.
Ma, soprattutto, era una esperienza costosa: l'accesso ad internet non era flat come
quello di oggi ma si pagava a tempo. Leggere mentre una sorta di tassametro scandisce i
soldi che vi costa non è piacevole. Il dover pagare di nuovo per rileggere una stessa
notizia lo è ancor meno.
Da non sottovalutare poi il fatto che, a differenza di oggi, la versione on-line non aveva
nulla in più da dare rispetto a quella cartacea. Si trattava sempre di testi e qualche
foto, spesso più piccole e a minore definizione. La possibilità di integrare l'articolo con
filmati, slideshow o contributi interattivi era ben lontana dall'essere anche solo immaginata.
Con l'evoluzione della tecnologia e la riduzione dei costi (sia di accesso che dell'hardware)
internet esplose in tutte le sue potenzialità entrando nella vita di tutti noi. I giornali
non ebbero la forza o, più probabilmente, le competenze necessarie a governare il cambiamento e
si trovarono a subire le trasformazioni della società. E ad adeguarsi ad esse.
Per non apparire arretrati furono costretti a mettere on line una versione sempre più completa,
ricca ed aggiornata, arrivando al punto di rendere disponibile il quotidiano in PDF da stampare.
Questo rese la copia cartacea meno appetibile e più scomoda perché era necessario spostarsi
per andare a comprarla.
Contemporaneamente gli annunci a pagamento si spostarono dai giornali generalisti a piattaforme
specifiche e la pubblicità, che prendeva in considerazione le copie vendute, diminuiva in
parallelo al calo delle tirature. Questo faceva venire a mancare due entrate fondamentali
solo parzialmente (molto parzialmente) compensate dalla pubblicità web che era ancora agli
albori e non pagava come quella tradizionale.
Tutto questo ha portato alla situazione in cui oggi navigano i giornali: il loro business model non è più
economicamente sostenibile perché i margini del poco che si può vendere non coprono le spese.
Le notizie devono essere diffuse praticamente gratis ma la struttura che le procura ed
elabora è ancora la stessa. E ha ancora gli stessi costi.
Per uscire dal tunnel alcune testate stanno provando a farsi pagare in qualche modo.
Dal brutale "per leggere il giornale devi pagarmi un abbonamento", al più soft "ti faccio
leggere tot notizie dopodiché, per vederne altre, devi pagarmi un abbonamento", fino ai
micropagamenti a scalare news per news o cose bizzarre tipo farti leggere le prime tot
righe di ogni articolo e pagare per andare avanti (cosa che ha anche un curioso effetto
sul come vengono scritti gli articoli, ma questa è un'altra storia).
In realtà, a mio avviso, questo è un tentativo di chiudere la stalla quando i buoi sono
scappati. Chiunque viva nel mondo del commercio sa che quando hai concesso qualcosa gratis
tornare a farlo pagare è molto difficile se non impossibile.
A meno che....
A meno che non si fornisca qualcosa di nuovo che il lettore sia disposto a pagare come, ad
esempio, l'autorevolezza e l'affidabilità.
Mi spiego con un esempio: mi serve il peso atomico del bismuto. Apro il mio testo di chimica
del politecnico, che ho pagato, lo trovo e sono a posto. Non ho bisogno di validare la
risposta perché ho pagato per avere una fonte con l'autorevolezza necessaria a non doverlo
fare.
Se cercassi in internet troverei decine di siti che riportano il peso atomico del bismuto
ma dovrei validare quello che trovo confrontando più fonti. Sarebbe come se lo chiedessi al primo che passa per strada: non mi fiderei della sua risposta. Questo processo di validazione mi
costa e potrei essere disposto a pagare per non doverlo fare.
Ecco l'errore a mio avviso commesso dai quotidiani nel passaggio al mondo dell'informazione
dell'era internet: credere che il loro prodotto fosse ancora la notizia in se stessa mentre,
in realtà, era l'autorevolezza e l'affidabilità della stessa.
In questo hanno perseguito l'obiettivo sbagliato: se succede qualcosa posso esserne informato
da decine di fonti compreso il citizen journalism. Ma se voglio sapere cosa è "veramente"
successo ho bisogno di validare le fonti, incrociarle, verificare, tutte cose che mi costano
tempo e fatica. Questo è lo spazio in cui il quotidiano autorevole può muoversi: sono disposto
a pagare non la notizia, che posso avere gratis da altre fonti, ma il fatto di sapere che
è vera senza doverlo verificare.
Purtroppo nessun giornale ha capito questo. O meglio, lo stanno capendo forse adesso che
tornare indietro è impossibile perché l'autorevolezza è stata oramai sacrificata al Dio
dello scoop e l'indipendenza, che garantisce la neutralità di giudizio, è stata venduta al
migliore offerente.
Per concludere vorrei fare un paragone con un'altra realtà di cambiamento: l'avvento della
grande distribuzione (GDO) sul mercato prima dominato dai piccoli negozi.
Come i piccoli negozianti si sono fatti scappare la possibilità di continuare ad esistere
differenziandosi dalla GDO attraverso i prodotti di qualità e/o legati al territorio, così
i giornali stanno facendo lo stesso nei confronti di internet.
Non hanno capito che il loro punto di forza, che possono far pagare, è il vaglio delle
notizie a monte della pubblicazione.
Se trovo qualcosa in un forum o in un blog sono costretto a verificare se ciò che vi è scritto
risponde al vero. Se il giornale è autorevole potrei evitarlo e potrei essere disposto a
pagare per questo risparmio di tempo.
Invece i giornali stanno facendo come i negozianti: pretendono di vendere gli stessi prodotti
della GDO e, non potendo competere, cercano scorciatoie protezionistiche o sussidi statali
per tirare a campare.
Ecco perché, caro Yoss, non mi stupisce che il Guardian (o chi per esso) faccia il salto
della quaglia: i giornali oggi stanno in piedi solo grazie agli appoggi. E stare con il più
forte vuol dire appoggi più solidi.
Certo però il futuro... beh saranno cazzi del prossimo direttore, a me che mi frega...
P.S. spero di aver usato una prosa accettabile. In caso contrario abbiate comprensione: sono un
ex alpino e qui a Bergamo è in atto l'adunata nazionale. Tre giorni di allegria, bevute colossali
e ricordi in compagnia di circa 400.000 (avete letto bene quattrocentomila, 4 volte la popolazione
di Bergamo città) ex commilitoni.
Dür per Dürà.
Saturday, May 8, 2010
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Io ho letto sui giornali che le penne nere a BG sono state 500.000... ma, tornando al discorso del post, vista la ormai scarsa autorevolezza dei suddetti, non so più cosa credere.
ReplyDeleteCordialità
Attila
@Attila
ReplyDeleteMolti sono arrivati la domenica e io ho scritto di sabato ma, comunque, erano tanti :-)
e 'sti giornali gratuiti che invadono le città?
ReplyDeleteanche loro forse partecipano all'affossamento.
@leftheleft
ReplyDeleteIn realtà penso che siano un fenomeno destinato a scomparire. O meglio, non tutti.
Occorre distinguere: ci sono quelli che sono semplici volantini pubblicitari spacciati per fogli di notizie locali (spesso copiate dai giornali tradizionali o dai siti di news on line) e quelli che fanno veramente giornalismo.
IMHO i primi vivranno solo fino a quando qualcuno avrà bisogno di farsi pubblicità con quel canale. I secondi si trasferiranno nel loro luogo naturale, che è il web, seguendo i loro lettori.
Oggi salgo sulla metro e mi fa comodo trovare sul sedile un foglio da leggere per passare il tempo. Tra poco (pochissimo) salirò con in mano il mio foglio virtuale su cui leggerò ciò che mi va e non mi servirà più altro.
Bel post.
ReplyDeleteDici che il Guardian passando a sostenere i Lib/Dem abbia fatto il salto della quaglia?
In effetti i Lib/Dem sono diventati "potenti": stanno governando. Con i Tories.
Come fara' il Guardian a "fare opposizione" a un governo Tory con dentro i Lib/Dem con i quali si sono schierati prima delle elezioni scaricando il Labour?
Chi fara' opposizione ai Tory-Lib/Dem? Il Daily Telegraph?
Si stanno ridisegnando i confini ideologici. C'e' l'emergenza nazionale dopo lo sfascio socialista: Your country needs you!
E' il trionfo del centralismo:
Il Labour che sara' costretto a spostarsi al centro per riprendersi i "new labour" che i Tories gli hanno fregato; i Lib/Dem che si stanno centralizzando per governare con i Tories; i Tories che recuperano il centro, cioe' il loro spazio naturale e smettono di essere la "destra" reazionaria, omofoba, isolazionista e..."bigotta" essendosi ammanigliati con i Lib/Dem che erano e sono piu' a sinistra del New Labour.
Quindi... stop all'immigrazione; tagli ai servizi sociali; viva la meritocrazia; avanti con la disciplina nelle scuole, recupero della centralita' della famiglia, ritorno alla legge e l'ordine. Con il supporto liberal/democratico e il tacito consenso del Labour che non puo' ritornare al socialismo minchione degli anni Settanta in difesa dei poveri e degli emarginati perche' altrimenti torna all'Old Labour e deve chiudere la bottega.
E...addio all'Europa, alle amnistie dei clandestini, all'immigrazione asiatico-musulmana...
Insomma: e' il trionfo del "centralismo" politico: e quello mediatico si allinea.
Pero' al pub la gente dice che tutto si e' spostato a destra; l'importante e' non dirlo ufficialmente altrimenti viene in mente l'Italia di Bossi e di Berlusconi e agli Inglesi non piacciono i confronti con il "sottosviluppo" fascistoide mediterraneo.
Forse l'Inghilterra e' uscita dal tunnel e ricomincia riveder qualche stella.
A s-proposito:
Resto del Mondo si vanta di aver fatto bene a lasciare il paese di Emmanuel Negro per andare a vivere nel Paese di Stephen Lawrence perche' nel paese della MacPherson Enquiry, che poi e' lo stesso paese di Stephen Lawrence, la polizia non e' fascista e razzista come nel paese di Emmanuel Negro.
Io vorrei saper dov'e' la logica MATEMATICA di questo ragionamento.
Ubaldo Lai
@Ubaldo
ReplyDeleteForse l'Inghilterra e' uscita dal tunnel e ricomincia riveder qualche stella
Bah, per ora ha solo importato il prodotto più "Made in Italy" che c'è: il casino politico.
Dove con "casino" si intende: casino=bordello, casino=confusione e casino=casinò. Buono qualunque dei tre.
Be', l'analisi e' affascinante e mi trova d'acccordo.
ReplyDeleteBel post Late.
Secondo te allora il Times a pagamento, fara' un flop muostruoso, non essendo il Wall Street Journal, ovvero specializzato?
Ti informo che la mia ex azienda che offriva intelligence farmaceutica B2B a pagamento aveva proprio questa particolarita'.
Dava un servizio che nessuno poteva darti.
Pagare il Guardian o il Times per sapere qualcosa che in 5 minuti sapro' da qualche altra parte e' suicidio.
Scusa se non mi faccio vivo da un po' ma sono un po' ciapa' come si dice dalle mie parti ( e dalle tue).
Ora pero' ricomincio a rompere.
@Yoss
ReplyDeleteBentornato e quanto all'essere "ciapàt" (da noi c'è una t finale in più) anche io non ho scherzato: 500.000 penne nere e una città tutta da vivere come difficilmente succede normalmente non lasciano molto spazio. Il resto è occupato in permanenza dalle bimbe.
Il problema di fare flop o meno dipende da molti fattori. Da un lato devi essere in grado di dare qualcosa che il tuo cliente sia disposto a pagare e, come giustamente noti, non basta la semplice notizia che posso avere da infinite altre fonti. E forse nemmeno il commento arguto perché, anche questo, lo posso trovare sui blog. A mio avviso devi vendere qualcosa di più strutturale, che generi immediatamente la sensazione di valere "denaro" che, nel mondo di oggi, è spesso "risparmiare tempo".
Dall'altro lato c'è il fatto che se non riesci ad adeguare la tua struttura alla nuova forma di giornalismo sarai sempre in difficoltà economiche rispetto a chi, partendo da zero, è già dimensionato alla bisogna. Detto in parole brutali, purtroppo, se una funzione non serve deve essere tagliata via. E questo è, a mio avviso, il problema dei problemi: la rivoluzione tecnologica ma anche il cambiamento di abitudini seguito alla crisi ha reso drammaticamente necessario un adeguamento delle strutture e la revisione di ogni processo. E il problema è che la prima cosa che salta all'occhio è che nulla sembra poter essere fatto senza dover lasciare a casa un sacco di gente.
Tu mi capisci che un Times se dovesse adeguarsi al nuovo business model potrebbe farlo abbastanza alla svelta ma dovrebbe lasciare a casa 3/4 del personale rispetto alle esigenze che avrebbe. Poi, probabilmente, nel tempo ritornerebbe ad assumere ma in vesti e con competenze diverse.
Spesso mi chiedo, e altri chiedono a me: perché non si fa questa riforma o non si fanno le cose in modo diverso? La risposta di pancia è che i nostri governanti o l'imprenditore o il manager non sia all'altezza (e spesso è anche vero) ma, sotto sotto, il vero motivo è che si crea un esubero di gente a cui non sapresti più cosa far fare e una fracca di investimenti non ancora ammortizzati da buttare nel cesso.
Non ci vuole molto, ad esempio, a far si che non si debba più ritirare un biglietto e poi pagarlo per prendere un'autostrada. I micropagamenti e la rilevazione a distanza con sensori RFID univoci per auto è fattibilissima. Ma... è tutti i casellanti? E le aziende che stampano i biglietti? E l'eliminazione di tutti i caselli? E la struttura amministrativa per gestire i pagamenti? E...
@Late
ReplyDeletescaglione? reparto?
11/94 Battaglione Aosta
:)
Lupardo
@Lupardo
ReplyDelete7/93 Comando 4 C.A. Alpino ufficio I
Io volevo fare l'operativo ma, essendo arrivato al CAR con in tasca una laurea in ingegneria elettronica, le brigate hanno fatto a gara per usufruire dei miei servigi (erano in piena fase di informatizzazione).
Tra i litiganti ha vinto l'oste e il Comando C.A. mi ha prelevato d'autorità anche se non mi ha sfruttato per le competenze informatiche ma per la conoscenza di armi, armamenti e capacità di analisi soprattutto partendo da documenti in inglese. Sai, quando i miei compagni di università leggevano Max io leggevo Jane's Intelligence Rewiew... ero un pirla vero? ;-)
@Late
ReplyDeletese sei un pirla tu, che dire di me che che già alle elementari quando gli altri si incarognivano con le figurine dei calciatori, io raccoglievo quelle degli aerei da combattimento?
Non ho mai capito una fava di calcio, ma con gli anni mi sono trovato una dignitosissima infarinatura di arte militare :-)
@Lupardo
ReplyDeleteBeh, io alle elementari mi sono fatto regalare dai miei l'intera collezione di "Tutti gli aerei del mondo" e l'ho consumata.
Poi, alle medie, sono passato alle navi. Alle superiori sbavavo per le armi lunghe e, all'università, per le armi bianche.
Poi ho fatto il militare e, da li, la passione per l'intelligence.
So di dare un dispiacere a Yoss ma, stranamente, non mi ha mai appassionato il mondo dei carri armati.
Oggi, quello che più mi stimola è la guerra sottomarina con relativi mezzi, tecnologie e, soprattutto, strategie.
In breve: i ragazzi mi davano del guerrafondaio e le ragazze avevano paura.
Forse facevo meglio a leggere Max :-)
P.S. Anche a me il calcio non è mai piaciuto, preferisco il basket.
@Late
ReplyDeleteAlle medie comprai per la prima volta RID e i fascicoli di Armi da Guerra e Corpi di Elite... alle superiori mi feci anche l'altra enciclopedia dell'epoca, "Aerei da guerra". Ancora adesso quando li sfoglio, mi accorgo che ricordo quasi pagina per pagina :)
Si, anche io venivo additato come guerrafondaio "fissato", evabbè dopo un po' non è così grave...
All'inizio la mia passione erano gli aerei, poi col tempo sono passato alle operazioni "terrestri", ma anche la strategia navale ha il suo perchè... meglio se anfibia comunque! :)
@Lupardo
ReplyDeleteBeh, Corpi d'Elite era un mito. Il Camillus Marine Corp che tengo nel comodino l'ho comprato dopo essermene innamorato avendolo visto appeso allo spallaccio sinistro in una foto su quella rivista.
Quello che mi affascina della guerra sottomarina è che si svolge in un campo di battaglia tridimensionale ma in condizioni di cecità. Il comandante deve avere la situazione costantemente nella sua testa e non può dare una occhiata di fuori. Perdipiù i sensi che può usare sono solo passivi (a meno di non rivelarsi) e le armi molto lente.
Cara Resto del Mondo,
ReplyDeleteMa tu tieni aperto un blog per raccontare a una dozzina di "amici" i tuoi "progressi" nella carriera matematica? O per fare qualche...."recensione" su un filmetto appena uscito? Oppure per suggerire qualche ricetta "esotica" da 18mila calorie che solo tu, con il tuo stomaco da struzzo, puoi digerire?
Le tradizionali "emails" non ti sono sufficienti?
Mai pensato che i tuoi "amici" ti tengano nella lista dei loro "blogs che gli piacciono" solo perche' gli fai una profonda compassione?
Comincia a pensarlo che e' ora.
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Allora aveva ragione il "Leghista di Finchley" quando parlava di "troppa immigrazione" a quei due intellettuali rifondazionisti della Terronia di cognome Mastroviti che andavano nel suo negozietto per comperare le fettuccine all'uovo?
Dopo solo due anni anche i Liberal/Democratici e Conservatori hanno deciso di metterci il "cap" (all'immigrazione).
Che figuradimmmmmmerda!
Allora il leggendario "Salumiere di Soho" aveva ragione quando diceva che il paese era a un passo dalla bancarotta, che non era tutto oro quello che luccicava e che la societa' britannica stava crollando a pezzi?
Dopo solo due anni i Liberal/Democratici e i Conservatori dicono le stesse cose alla nazione, tutta da ricostruire, dopo la catastrofica amministrazione socialista e un deficit piu' grosso di quello della Grecia.
Che figuradimmmmmmerda!
E il Guardian (che ridere!) e' diventato Liberal/Democratico e, indirettamente, si trova ad essere un sostenitore delle politiche "tories".
Vediamo come si posiziona il Mastroviti Rifondazionista Comunista: quello che parlava dei "nazisti di Eton" che stavano per prendere il potere nella sua Terronia di Adozione.
Che figuradimmmmmmerda!
Insomma: ancora una volta gli analfabeti di Rovigo emigrati a Finchley e i "salumieri di Soho" si sono rivelati piu' intelligenti dei cafoncelli sinistronzi della Terronia e delle "bovghesuzze pasionavie della Milano quasi Centvo": quelle del "Io a questo paese ancora non ci credo!"; quelli che nel salottino ricavato dal loft parlano di "proletariato" sorseggiando Lambrusco e affettando Mortadella di Bologna.
Fare le figure di mmmerda e' brutto; Far finta di non averle fatte e' molto, mooolto, mooooolto socialista. Ecco perche' questi progressisti di merda tornano sempre a casa con i pesci in faccia e i pomodori pugliesi marci sulla capoccia.
Berlusconi in Italia; Cameron in UK.
La situazione si e' fatta critica: forse e' il caso di sbattere la testa sul muro e urlare:
"Ma come sono scema/o !"
Che figuredimmmmmmerda!